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Melanzana: la “mela insana” che contribuisce alla salute

Oggi è uno dei frutti più amati nella dieta mediterranea, ma che ha faticato a lungo per vincere i pregiudizi sulla sua presunta nocività

Mediterranea… ma non troppo

Per quanto oggi sia una uno dei prodotti dell’orto più apprezzati e utilizzati nelle ricette tipiche di molte regioni italiane, sposandosi bene con altri ingredienti e profumi considerati mediterranei, la melanzana non è autoctona delle cucine in cui attualmente viene più spesso utilizzata.

Per risalire alle sue origini bisogna spostarsi nel tempo e nello spazio, spingendosi fino all’India (o alla Cina, che tuttora ne rimane il primo Paese produttore ed esportatore) e tornando indietro nel tempo fino all’epoca precedente il VII secolo, quando gli Arabi la importarono in Medio Oriente e poi nel Vecchio Continente (a partire dalla penisola iberica) nel VII secolo. Per vedere la sua diffusione in tutto l’Occidente bisognerà attendere fino al XV secolo, mentre per vederla entrare nell’uso culinario comune si dovrà aspettare ancora di più.

Vecchie e nuove superstizioni

La melanzana ha infatti a lungo goduto di una pessima fama, costretta a fare i conti con un immotivato sistema di superstizioni e false credenze, che hanno portato la cultura popolare a demonizzarla. Tra le accuse più “blande” mosse a questo ortaggio c’è quella di mettere di cattivo umore, mentre per altri tale frutto era in grado di causare vere e proprie malattie di natura sia fisica sia mentale (febbre, epilessia e persino follia).

Alla base di questo demonizzazione potrebbe esserci l’etimologia stessa del nome “melanzana”, che come si legge in questo articolo pubblicato su lastampa.it deriverebbe dal termine arabo “badinjian”, a cui nel Medioevo venne aggiunto il prefisso "melo" che indicava i vegetali di provenienza lontana (come per esempio il melograno o la melacotogna).

Quindi diventò "melo-badinjian" e da lì si arrivò a malum+insanum, che in latino significava “mela non sana” e che portò all’attuale “melanzana” in italiano (cui si aggiungono varianti dialettali regionali come “meresgian in milanese,  il toscano “petonciana” o “petonciano” o anche “petronciano”,  “mulignana”  in napoletano, “milinciane” in siciliano, “perdingianu” in sardo, e così via).

I motivi del pregiudizio

Le ragioni vere o presunte per le quali la melanzana è stata a lungo considerata un frutto da evitare si deve innanzitutto agli effetti spiacevoli dei suoi primi (sperimentali) tentativi di consumarla a crudo e al sapore amaro, che per ragioni ataviche (che risalgono all’esperienza empirica degli uomini primitivi) era collegato alle sostanze velenose.

Nel tempo a queste ragioni immediate e in un certo senso “istintive”, si sono aggiunti allarmismi costruiti sulla base di nuove scoperte scientifiche: per esempio relativamente al fatto che la melanzana appartiene alla famiglia botanica delle Solanacee, proprio come la Belladonna, una pianta erbacea velenosa o al fatto che i suoi semi contengono la più alta concentrazione di nicotina presente in un vegetale.

Il riscatto dall’orto alla tavola

Per tutte queste ragioni, in Europa non si mangiarono melanzane fino al Settecento e solo dopo la riabilitazione effettuata da Pellegrino Artusi in pieno Ottocento il suo utilizzo in cucina è stato sdoganato, tanto da consentire la nascita di celebri piatti tuttora apprezzati come quelli siciliani che abbiamo citato in questo articolo (la Pasta alla Norma e la Caponata), ma anche ricette originali e creative. Tra queste i molti modi per utilizzare la polpa come ingrediente di preparazioni vegetariane o vegane oppure di ricette carnivore originali come la versione di melanzane ripiene suggerita da Sonia Peronaci sul suo sito.

Qui la buccia della melanzana diventa il guscio che racchiude una sorta di “ragù” consistente in cui rientra anche la polpa scavata del frutto stesso. La cottura in questo caso non è fritta bensì al forno. Non si tratterà di un piatto super-light ma sicuramente racchiude e conserva tutte le proprietà positive di questo frutto, trasformandolo in un piatto completo, ricco di gusto, appagante e adatto a qualsiasi occasione (da provare anche freddo!).